“Chi ha personalità non appartiene alle logiche del branco”; una frase che ho sempre amato e che calza a pennello per descrivere il protagonista di oggi.
Antonio Tritto è un uomo dalla personalità forte, che va dritto al sodo e difficilmente rilascia dichiarazioni di circostanza, è autentico perciò a volte scomodo; come tutte le persone intelligenti però è dotato di malizia ed arguzia, di sensibilità e spirito di osservazione, ha una memoria di ferro ed un’ironia fuori dal comune.
Antonio ed io in questi due anni di reciproca conoscenza abbiamo creato un rapporto fatto di sfottò, punzecchiature e chi più ne ha più ne metta, fiumi di chiacchiere e scambi di opinioni in cui nessuno risparmia nulla all’altro, d’altronde lui interista io milanista, lui impulsivo io riflessiva, lui dei gemelli io del toro: due zucconi in un mix esplosivo.
In una cosa però siamo complementari, io amo ascoltare e lui ama parlare e quando abbiamo fatto questa intervista avevamo molto, molto tempo a disposizione…
Con questa confortante premessa, è ora di tuffarsi nel racconto della carriera di coach Tritto, che parte, come per molti dei protagonisti di questa rubrica, per caso: “sullo stesso pianerottolo di mia mamma abitava un signore grande appassionato di basket che mi propose di andare con lui a vedere un torneo estivo di basket a Desio, la mia città. Io giocavo a calcio e parallelamente portavo avanti anche gli allenamenti di nuoto ma appena vidi il torneo di basket rimasi letteralmente affascinato da questi giocatori così alti ed atletici. Una volta ricominciata la scuola mi iscrissi anche al minibasket del Basket Club Desio vicinissimo alla piscina in cui mi allenavo, così potevo andare e tornare da solo; dopo un paio d’anni fu mio padre a portarmi alla leva dei nati nel 1966 dell’Aurora Desio, un gruppo eccezionale che portò un giocatore in A e due in B”.

Ruolo? “ero un play, cattivo come la peste (ride); non ero un attaccabrighe ma non mi facevo mettere i piedi in testa da nessuno, finivo sempre in marcatura sul più forte degli avversari perché ovviamente non mi tiravo mai indietro. Ero molto amato dai miei lunghi perché gli davo sempre la palla, avevo personalità e carattere, tanta testa ma ero anche convinto di essere forte… poi ho capito che non ero un granché e quindi ovvio, quando uno è scarso ha due possibilità, o arbitra o allena”!
La scelta cade chiaramente sulla seconda opzione, che lui sentiva già sua fin da bambino “in uno dei miei tanti traslochi ho ritrovato un tema delle elementari: cosa vuoi fare da grande? Ed io avevo risposto ‘l’allenatore’”.

Per chi ancora non l’avesse capito, Antonio è uno con le idee chiare, deciso e diretto, un carattere forte che ha origine in un momento ben preciso “a dodici anni i miei genitori si sono separati e per me è cambiato tutto. Mi sono trovato ad affrontare le cose non più come un bambino ma come un adulto, mia mamma è dovuta andare a lavorare, avevo un fratello più piccolo che necessitava di più attenzioni ed io mi sono sentito da solo contro il mondo; ero arrabbiato e di conseguenza sono diventato molto più orgoglioso, mi sono costruito una sorta di corazza. Questa cosa mi ha condizionato tanto ma allo stesso tempo è stata accompagnata da molta ambizione e curiosità che mi hanno aiutato a costruirmi la vita; oggi che sono più vecchio molti mi dicono che ho un brutto carattere ed oggettivamente è vero ma sono uno che preferisce affrontare le cose di petto, anche se a volte non mi fermo e sbatto la testa contro un muro”.
Me lo dice ridendo, d’altronde tanto è caparbio nel portare avanti le sue idee tanto è lucido nell’ammettere i propri difetti, perché, come si suol dire, un uomo di carattere non ha un buon carattere.

Terminati gli studi Antonio inizia a lavorare ed arriva la svolta: Daniele Dell’Orto, coach delle giovanili dell’Aurora gli chiede un aiuto come vice per un gruppo di ragazzi dando effettivamente il via alla sua carriera di allenatore.
“Daniele è e sarà sempre il mio maestro, una persona squisita e riservata, allenatore clamoroso per quanto riguarda la tecnica ed i fondamentali; le cose che mi ha insegnato sono i principi base che ci sono ancora oggi perché la pallacanestro è una cosa semplice.
Lui mi ha aperto la strada come allenatore, mi ha costruito mentalmente soprattutto dal punto di vista tecnico, ho sempre avuto la curiosità di capire il gioco e lui mi ha insegnato tutto; gli voglio un bene dell’anima, qualche anno fa ho allenato un gruppo Under18 ed ho giocato contro di lui, ero emozionatissimo! Ogni tanto ci scriviamo e capita che venga a vedere qualche partita al termine della quale ci confrontiamo, ho sempre grande interesse per i suoi consigli”.

“A Desio si era creata un’ottima struttura con foresteria, sala pesi e preparatore atletico, io continuavo a lavorare con Daniele con grande sintonia ed affiatamento; l’anno dopo da Udine arriva un mio coetaneo Alberto Martelossi con cui si instaura subito un forte legame di amicizia, gli faccio da vice ed in più gestisco un gruppo mio con ottimi risultati. Oggettivamente Desio era uno dei settori giovanili migliori d’Italia, una vera e propria scuola che ti dava un metodo ed io mi ritengo fortunato ad essere uscito da lì”.
Come ogni pulcino che si rispetti, ad un certo punto arriva il momento di aprire le ali e spiccare il volo, lasciando la sicurezza del proprio nido così Antonio saluta la sua alma mater e si accasa alla Forti e Liberi Monza “alleno il gruppo degli juniores nazionali e faccio il vice a Mauro Pistorello in prima squadra in serie C. Mauro è un’altra figura importantissima per la mia carriera, abbiamo legato da subito e mi ha dato tantissimo sia in termini di fiducia che di insegnamenti a livello di gestione del gruppo; i primi tempi ero iperattivo volevo fare mille cose, mettevo tanta carne al fuoco e lui mi calmava, mi spiegava le cose con tranquillità. Quella prima annata si concluse con la promozione in serie B2, obiettivo dichiarato ad inizio stagione”.
Promozione in B, segniamocela perché sarà la prima di una lunga serie.

Il primo anno al piano superiore porta in dote un altro momento importante per Antonio: la prima volta in cui si trova a guidare la squadra da solo; “era il derby contro Sesto San Giovanni, Mauro nel prepartita aveva insistito molto sull’importanza di restare calmi, non innervosirsi in caso di provocazioni, mantenere i nervi saldi… dopo dieci minuti lui si fa espellere, siamo sotto di venti ed io mi trovo seduto in panchina pietrificato! Sapevo che toccava a me ma ero come paralizzato dalla tensione, non mi aspettavo certo un risvolto del genere! Ad un certo punto si avvicina Pino Motta e mi dice ‘oh, guarda che devi allenare’ e io ‘sì sì ora vado’ ma nel frattempo non riuscivo a muovere neanche un muscolo! Alla fine non so come ma mi sono alzato, ho allenato e ci siamo rimessi in carreggiata; all’intervallo Mauro mi ha detto ‘fai tu, io non ti dico nulla’ e davvero non mi disse niente. Ero in uno stato di agitazione totale poi a mente fredda ho capito che se mi avesse dato consigli mi avrebbe creato solo confusione mentre in quel momento dovevo seguire le mie certezze; fatto sta che riuscimmo a vincere ed il giorno dopo la mia faccia era su tutti i giornali”!
Beh non male come debutto da head coach!

Dopo un breve ritorno a Desio in cui incrocia il cammino con tanti volti cari a Cremona come Marco Tirel, Matteo Formenti e Riccardo Perego ecco la grande occasione: la panchina della Posal Sesto San Giovanni.
“L’inizio ufficiale della mia carriera da capo allenatore, stagione 1998/1999 in serie B2; eravamo una squadra con un buon quintetto e cinque giovani in panchina, costruita per una salvezza senza patemi. La prima parte di stagione oggettivamente fu spettacolare, a gennaio eravamo quinti in classifica poi la catastrofe: infortuni a raffica ma uno più grave dell’altro, rottura del crociato, rottura del tendine d’Achille, frattura scomposta del braccio… sei giocatori rotti di cui quattro che non hanno più rivisto il parquet. Morale? Retrocessione al primo anno da head coach”.

Roba da ammazzare un toro ma non lui, che dopo un comprensibile momento di sconforto si rimette in pista e sbarca in quel di Castelletto Ticino, neopromossa in B2 ma molto ricca ed ambiziosa “il primo anno perdiamo la finale promozione contro Argenta e poi la final four a Rieti contro Capo d’Orlando ma questo ci dà la forza per ripartire di slancio l’anno dopo con un unico obiettivo.
L’avversaria in finale è Monza, stravinciamo gara1 in casa, gara2 in trasferta la perdiamo all’ultimo tiro e quindi si decide tutto alla bella, in casa nostra; la partita era alle 21, alle 19 arrivo in palestra ma non riuscivo nemmeno ad entrare.. una marea umana ci accoglie ad uno ad uno, all’arrivo di ogni giocatore erano cori dedicati e standing ovation, un clima clamoroso che ci ha accompagnato fino alla sirena finale: vittoria e promozione in B1! E’ stata una serata pazzesca, per tutta la notte abbiamo festeggiato in palestra, sono momenti incredibili che non dimenticherò mai”.
E siamo alla promozione numero due, cui si aggiunge la terza, dalla C alla B2 con Como la stagione successiva; la parentesi a Cantù si posiziona in mezzo alle due avventure con Borgomanero, l’ultima delle quali lo vede sconfitto in finale, il giorno del suo compleanno, per mano di Omegna, allenata da Crotti… per via che il destino a volte si diverte a tessere trame ben più che avvincenti!

Ma si sa, il buon Venditti cantava “certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano” ecco la nuova chiamata di Desio, la sua Desio, la sua casa, la sua vita “il primo anno è stato bellissimo, siamo andati ai playoff arrendendoci solo in semifinale contro Costa Volpino, nella seconda stagione purtroppo l’infortunio del play titolare ci ha tolto tantissimo e non siamo riusciti a centrare i playoff. Alla fine dell’anno i problemi con la società hanno portato alla chiusura del rapporto e sinceramente ci sono rimasto male, tenevo tanto a Desio”.

Antonio è così o lo ami o lo odi, ma come tutti gli uomini di forte personalità, quando si lega è per sempre, e quando dà tutto gli viene riconosciuto; è il caso dell’avventura ad Olginate, arrivata dopo una breve parentesi non molto fortunata a Lecco.
Alla Gordon Antonio arriva a febbraio, a campionato in corso “mi avevano già contattato a novembre ma non ero convinto di scendere in C2, poi alla fine abbiamo trovato l’accordo, la squadra era buona e siamo stati promossi. Il primo anno in C1 è scivolato via bene mentre il secondo è stato entusiasmante, siamo arrivati secondi in stagione regolare perdendo poi i playoff”.
Un percorso in crescendo che ha lasciato Tritto nei cuori dei tifosi di Olginate, che quest’anno, al suo ritorno da avversario con Piadena, lo hanno accolto con tutti gli onori e con uno striscione inequivocabile.

Chiusi i tre anni in maglia Gordon, Antonio si ferma. Una trattativa saltata lo lascia a piedi, senza squadra, senza basket “all’inizio non l’avevo presa troppo male, ho fatto tutto quello che non avevo mai fatto nella vita, ferie, viaggi, ponti, weekend e chi più ne ha più ne metta, poi però ho iniziato a sentire la mancanza del basket, mi è addirittura venuta la pleurite! Secondo me mi sono ammalato perché non andavo in palestra”!
Scoppiamo a ridere ma conoscendolo sono abbastanza convinta che sia vero! Arrivano le proposte “anche dal femminile… secondo te quanto sarei durato? Tre allenamenti”? “Ma no coach, alla prima seduta dopo venti minuti ti avevano già eliminato”. Credo anche di essere stata larga no?!

“Piadena è stata la società che si è mostrata più decisa, volevo una squadra che avesse alte ambizioni e qui si giocava per un obiettivo importante. Lo scorso anno il gruppo aveva talento e fisicità, erano tutti giocatori maturi, non da gestire ed a fine agosto, nell’amichevole contro Lumezzane mi sono detto che sì, non ci mancava niente, eravamo pronti”.
E così è stato, una stagione da schiacciasassi, quasi mai un cedimento soprattutto dal punto di vista mentale, un gruppo che ha viaggiato sempre in un’unica direzione, agli ordini del suo comandante “ammetto che è una parola che mi piace, per me l’allenatore è il comandante della nave: io cerco di essere sempre sul pezzo perché se il coach va in corto circuito è probabile che ci vada anche la squadra mentre i ragazzi hanno bisogno di certezze e di un punto di riferimento chiaro, sia dal punto di vista tecnico che comportamentale. Se le cose non vanno bene faccio fatica a stare zitto perché poi mi viene il nervoso ed è controproducente, preferisco di gran lunga guardare tutti in faccia e dire le cose come stanno, che siano belle o brutte, ma così si instaura un rapporto di fiducia e rispetto; la gestione è fondamentale quindi ci devono essere i momenti in cui vai a brutto muso, quelli in cui dici le cose in modo carino, quelli in cui ci scherzi su e quelli in cui proprio non vedi. Questo modo ha sempre pagato, lo scorso anno abbiamo remato tutti dalla stessa parte, quando abbiamo terminato la prima fase ed ho chiesto un allenamento in più, quindi uno sforzo in più, ho ricevuto solo dei sì come risposta e questo significa che eravamo davvero uniti verso l’obiettivo”.

Obiettivo raggiunto il 5 giugno, il giorno dopo il suo compleanno, in quel di Lumezzane allenata da Crotti, vi dice qualcosa? Un trionfo secco, due partite giocate magistralmente “non avevo dubbi visto come avevamo giocato gara3 di finale contro Milano3, abbiamo messo a frutto il lavoro di un anno, peccato solo non essere stati a Piadena, sarebbe andata a finire come quella famosa notte a Castelletto”!
Un paese impazzito, che ha travolto i propri beniamini con un’ondata di affetto e riconoscenza che non si è mai sopita “ci tenevamo tanto, tantissimo, la serie B era uno stimolo per la società, per il paese ed anche per me, dopo un anno di inattività rientrare così è stato magico. Non abbiamo stravolto il roster ma fatto acquisti mirati, dimostrando il nostro valore anche in serie B”.

Lo dice con l’orgoglio negli occhi e nella voce, quell’orgoglio che si è costruito da bambino quando la vita ha provato a minare le sue certezze e per tutta risposta lui si è rimboccato le maniche ed è diventato un vincente.
Perché alla fine carattere e personalità fanno paura solo a chi non li ha.
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